Qualche giorno fa ci è tornata in mente la meravigliosa lettera* che Seathl, il capo dei Duwamish, scrisse al Franklin Pierce, presidente degli Stati Uniti, che gli chiedeva di poter acquistare la terra occupata dalla sua tribù. Probabilmente la conoscete già, ve ne sono diverse versioni che girano sul web da parecchi anni, ma in ogni caso abbiamo pensato di farvene dono (la trovate alla fine di questo testo), poiché i semplici princìpi di vita che essa mostra attraversano le epoche con immutato valore. «Come potete chiedermi di vendervi la terra, non è mica mia!», dice in sostanza Seathl, e alla luce di questo semplice principio tutte le quotidiane (e sterili) discussioni su etnie, confini, diritti nazionali, etc diventano una grottesca rappresentazione di quanto il nostro attuale modo di vivere sia ormai del tutto scollegato dal senso originario delle cose, dal perché esiste questa terra e da come dovremmo trattarla, visto che – nonostante quello che crediamo – non ne abbiamo la proprietà, ma la custodia sì. «Se vi vendiamo la nostra terra amatela come noi l’abbiamo amata. Abbiatene cura, come abbiamo fatto noi. Ricordatevi sempre come essa era quando la riceveste. E con tutta la forza, con tutta la vostra intelligenza, con tutto il vostro cuore proteggetela per i vostri figli». Eh, caro Seathl, le cose sono andate un po’ diversamente … Perché questa lunga premessa? ...
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Emiliano Bonifetto
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